Brand Purpose o profitto? Crescita o sostenibilità? Il dibattito si sta polarizzando.

Forse perché polarizzare la discussione fa crescere l’audience e l’interesse. Di sicuro è uno stimolo per riflettere, e scegliere se schierarsi e da quale parte.
Di fronte a questo stimolo mi sorgono allora 3 riflessioni che mi portano poi a dire che il dualismo tra brand purpose e profitto va superato per trovare un equilibrio tra i due elementi che favorisca lo sviluppo dell’azienda nel tempo.
1. Dualismo e bilanciamento degli opposti
La mia natura competitiva mi porta allora in prima battuta ad analizzare velocemente le due possibilità per cogliere gli indizi di quale può essere la risposta giusta. Perché se uno ti dà due alternative nella nostra cultura si presuppone, automaticamente, che una è corretta. Fortunatamente, un attimo dopo, entra in funzione la corteccia prefrontale che mi amplia l’orizzonte e mette in gioco altri saperi. Mi ricorda allora che tanto più il sistema si fa complesso tanto meno le opzioni sono alternative. Si entra in un gioco di bilanciamenti ed equilibri. Meglio passare dal “o” al “e”. E questo amplia le possibilità. Le culture orientali questo lo sanno da sempre. Noi lo stiamo imparando.
E, in effetti, se invece di obbligarci ad una scelta tra “Brand purpose or profit” ci chiediamo “proposito E profitto?” la mente si attiva in un modo completamente differente, cambiano le risposte e si allargano le prospettive e le possibilità. Si entra nell’ambito della creatività e dell’innovazione, dove si possono trovare nuove risposte a ciò che in prima battuta ci sembra inconciliabile. Superare il dualismo delle possibilità ci insegna ad aprirci a nuove possibilità, in un territorio nuovo.
Allora la prima riflessione mi suggerisce di superare l’approccio duale e adottare un approccio sistemico, più adatto ad approcciare situazioni di complessità e incertezza attraverso il giusto bilanciamento degli opposti, che sempre si compenetrano nella realtà.
Così pure quando si parla di brand e di business, tra il massimizzare il profitto o massimizzare il “purpose”, si fa strada il massimizzare il bilanciamento migliore tra profitto e purpose, tra crescita e valori. L’equazione forse è una equazione più complessa ma il risultato sarà migliore.
2. Brand e Business
E’ ancora difficile in alcuni contesti aziendali trasmettere il valore del marketing e del brand. Si crede ancora che fare business sia legato agli aspetti “hard”: prodotto, produzione, vendita. Stop. In questi contesti quando si fa comunicazione, diventa o una comunicazione arida, tecnologica, oppure una comunicazione “make up”, di facciata.
Invece il brand e il marketing, se ben fatti e ben interpretati, sono al centro del business e della crescita. “Brands for growth AND good” è ciò che avrebbe sempre dovuto essere, l’essenza del marketing e del (vero) branding che parte dal capire i problemi e i bisogni delle persone e si chiede come risolverli. Si definisce quale ruolo gioca l’azienda stessa (o un suo brand specifico) per dare valore al cliente e distinguersi al meglio tra i vari giocatori. Vista così è parte integrante della strategia e del fare business.
E, allora, la crescita e il profitto diventano spontanea conseguenza di un buon marketing e di un buon branding fondati su purpose e valori. Quelli solidi, quelli autentici. Che generano valore anche per il mercato.
Molte storie di brand e di imprenditori ce lo confermano. Ad esempio il noto marchio Patagonia, per citare un caso da manuale, e ne possiamo trovare molti altri anche tra le imprese familiari.
Patagonia è un’azienda statunitense specializzata in abbigliamento sportivo fondata da Yvon Chouinard nel 1973. Dall’inizio ha saputo combinare la sua strategia di crescita con l’attenzione all’ambiente, alla sostenibilità, alle persone. Nel dicembre 2011 Patagonia è diventata una B Corporation certificata, ossia una società a scopo di lucro (il profitto rimane il suo obiettivo) che soddisfa al contempo “rigorosi standard di prestazioni sociali e ambientali, responsabilità e trasparenza”.
La seconda riflessione, pertanto, mi conferma quanto lavoro ci sia ancora da fare per divulgare cosa significa veramente branding e marketing, al di là di una comunicazione commerciale che non tocca l’essenza dell’azienda stessa e del suo esistere. Quanto serva lavorare sulla cultura di branding e marketing che porta il brand ad esprimersi al meglio attraverso tutti i suoi possibili mezzi: prodotto, packaging, comunicazione, servizio, e-commerce, retail, … Non è questo forse il business?
3. Indietro non si torna
Si può fare ancora business senza purpose? L’innovazione tecnologica ci ha aperto nuovi mondi, sia in termini di possibilità di scelta, sia in termini di sovrabbondanza di informazione, sia in termini di possibilità concrete di acquisto di prodotti dalla parte opposta del mondo. Tutto ciò ha cambiato il mercato, e l’approccio dei clienti. In parallelo si è modificato il contesto sociale, e soprattutto le nuove generazioni utilizzano nuovi criteri di acquisto. I ragazzi della Gen Z sono particolarmente sensibili agli sconvolgimenti climatici ed all’impatto che sta avendo la globalizzazione, quindi preferiscono acquistare e sostenere piccoli negozi locali o brand che seguono politiche eco-friendly a sostegno dell’ambiente.
Di fronte a questo nuovo mondo, possiamo davvero ritornare a fare business e crescere senza una missione e dei valori che siano autentici ed espressi in tutti i touchpoints? Possiamo ritornare a vendere un prodotto “solo per le sue funzionalità tecniche? No, e questo ce lo dice anche il neuromarketing.
Le nostre scelte di acquisto sono innanzitutto prese a livello sub-conscio, e la “validazione” funzionale va in supporto alla scelta già fatta in modo non conscio, sulla base di aspetti emotivi e sensoriali e non funzionali. Tra questi aspetti non funzionali ci sono il design, l’esperienza di acquisto, e i vari significati simbolici di cui il brand si fa strumento. Simboli che risuonano nella mente del cliente a livello individuale e sociale. Il “purpose” e i valori che un brand esprime fanno parte integrante del brand stesso e arrivano ad essere percepiti dal cliente prima di tutte le argomentazioni funzionali e tecniche e di prezzo. Pur senza escluderle.
Allora in questo contesto aperto e trasparente, possiamo ancora pensare di tornare a fare business senza purpose?
La terza riflessione è che indietro non si torna. Il mercato è cambiato, la tecnologia ci ha aperto finestre sul mondo che neanche potevamo immaginare solo 20 anni fa. E oggi possiamo acquistare prodotti e servizi che oltre al loro valore “funzionale” si caricano di valori simbolici che possono essere in sintonia con i nostri personali valori, e ci fanno sentire di appartenere a qualcosa di più grande, e ci danno il senso di contribuire anche a qualcosa di giusto.
Sulla base di queste tre riflessioni, credo allora che si debba superare il dualismo tra purpose e profitto, tra “Brand for growth” e “Brand for good” , ma che sia un gioco di equilibri e di armonia da cercare tra questi opposti, sapendo che oggi il mercato dà per scontato il livello funzionale, ossia che il prodotto sia performante.
Equilibrare purpose e profitto, brand e crescita è possibile facendo i giusti passaggi internamente all’azienda. Se vuoi posso aiutarti a farlo.
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